martedì, aprile 04, 2006

Febbre a 90’, calcio e vita secondo me, Pinotto.

Julio Gonzalez, calciatore del Vicenza, nel dicembre scorso è stato vittima di un gravissimo incidente automobilistico. La gravità delle ferite riportate ha costretto i medici ad amputargli il braccio sinistro. Nei giorni seguenti, dimesso dall’ospedale senza un braccio e con l’altro ancora ingessato, ha tenuto una conferenza stampa in cui ha dichiarato che, per lui, la speranza è di poter essere il primo nel riuscire a tornare a giocare o, almeno, quella di poter fare l’allenatore dei giovani.
Che cos’è la speranza nello sport? Ma, soprattutto, Chi è?
Alex Zanardi, al quale di gambe ne hanno tolte due, ha portato sicuramente la speranza nell’automobilismo; Lance Armstrong, vincendo il male più grande, lo ha fatto nel ciclismo e Jona Lomu, All Black al quale è stato trapiantato un rene, nel rugby. Chi è la speranza nel calcio? Chi ha dato l’esempio in questo sport e può aiutare le persone che sentono di non essere alla pari con coloro che compongono quella che molti chiamano “normalità”?
Ponendomi questa domanda, la risposta che mi è balzata in testa, senza lasciare spazio alle altre, è solo una, Manuel Francisco dos Santos, detto Manè.
“La poliomielite. A Pau Grande non c’era quasi niente, ma la poliomielite non mancava e al mio passerotto aveva seccato le gambe. Ma questo a Manè sembrava non importare. Lui era sempre allegro, anche nella disgrazia, anche se camminava male e poco, anche se non poteva correre dietro al pallone come gli altri e a suo padre, nel vederlo così piccolo e storto, si riempiva la gola di lacrime. Fu per lenire quella pena che, in qualche modo, lo convinsi a portare suo figlio dal medico, a Rio. Deamaro se lo mise in spalla, con me sempre accanto, e andammo a parlare con questo dottore che operava le gambe storte dei bambini. Quello se lo prese e lo tenne per ore sotto i ferri cercando di raddrizzargliele, ma ci riuscì solo a metà, cosicché quando ce lo restituì aveva uno sguardo imbarazzato. Disse che almeno con la sinistra avrebbe camminato.”
“Un giorno di luglio (Manè n.d.r.) stava guardando i bambini giocare a pallone, io assieme a lui, come sempre. La palla rotolò verso di noi e quando Joao Paulo Pirinha, per scherno, gli gridò di calciarla, vidi negli occhi di Manè la felicità andare via. Si girò verso Joao Paulo e gli urlò di venirsela a prendere, la sua palla, e poi riprese a sorridere, ma io avevo capito che dentro stava tremando. Allora lo guardai e lui si sentì più tranquillo. Posò davanti ai suoi piedi la palla, si asciugò sui calzoncini il sudore delle mani e rimase dritto ad aspettare Pirinha. Ero accanto a lui e lo tenevo per un braccio mentre l’altro si avvicinò lentamente e infine si piazzò di fronte a Manè. Lo strinsi ancora più forte e forse il mio passerotto capì, così guardò l’avversario negli occhi e sorrise, poi si piegò sulla sinistra, appoggiandosi al mio fianco e mentre Joao Paulo allungava la gamba da quella parte, lui schizzò dall’altra, il pallone tra le gambe e il sorriso di nuovo sulle labbra. Da quel giorno nessuno riuscì più a togliergli la palla, perché ogni volta Manè si appoggiava al mio braccio e scappava dall’altra parte sorridendo, mentre la gente si nutriva di allegria, rimaneva affascinata da quel passo improvviso di danza e lo chiamava soltanto Garrincha.” (Ugo Ricciarelli, L’angelo di Coppi.)
Garrincha non è rimasto in quel campetto di Pau Grande; nonostante avesse la poliomielite, e una gamba più corta dell’altra, ha vinto 2 Coppe del Mondo con il Brasile nel 1958 e nel 1962, diventando anche capocannoniere in quest’ultima.

1 commento:

Sara & Cri ha detto...

Ciao Raga! ze compliments per il Blog!
Come richiesto vi abbiamo linkato, aspettiamo solo di vedere il nostro link sul vostro Blog!
keep up the good stuff...
BYE