mercoledì, aprile 26, 2006

Uncorrectly political: i graffi di Gianni e Pinotto

Il Caimano è veramente un bel film. Ci ha colpito perché ha rinunciato ad attaccare Berlusconi con notizie scioccanti, ormai note a molti. Ha scelto di descriverlo, di ricrearlo cinematograficamente. Una frase all’interno della pellicola ci è rimasta impressa più di altre: “L’Italia degli ultimi trent’anni è Berlusconi”. Così, presi un po’ dallo sconforto e ragionandoci abbiamo cercato di trovare i motivi in grado di sorreggere questa tesi:
1. “Forza Italia” era gridato solo negli stadi in cui giocava la Nazionale.
2. I politici avevano slogan concreti e non “Con noi un cielo più azzurro”, “Un mare più nuotabile” etc…
3. I coglioni erano una parte importante dell’anatomia umana e non gli elettori del governo.
4. La sinistra era accusata di pedofagia ora invece, a quanto pare, controlla televisioni, giornali, magistratura, finanza, l’universo intero.
5. La classe dirigente del nostro Paese raramente aveva background formativi nei campi del marketing e delle pubbliche relazioni, tuttavia conosceva qualcosa di dottrina politica.
6. Ferrara, Adornato e Bondi leggevano ancora “Il Manifesto”.
7. Baget Bozzo si limitava a predicare dal pulpito della parrocchia, ora lo fa attraverso il tubo catodico.
8. Deputati europei non erano “gentilmente” invitati a svolgere ruoli cinematografici in pellicole sui kapò.
9. Le pensionate ed i pensionati settantenni non erano amministratori delegati, presidenti, direttori generali di imprese nazionali.
10. Holding, vocabolario alla mano, era solamente il gerundio del verbo inglese tenere.
11. Milano non aveva sottoparagrafi (2,3,…) e le fanciulle di nome Chiara non provavano vergogna di fronte all’epiteto “lachiarella”.
12. Adriano Galliani era un dirigente di provincia simpatizzante calcisticamente per la Juventus.
13. In televisione c’erano programmi con pubblicità non blocchi pubblicitari con all’interno dei programmi.
14. Emilio Fede presentava il Tg di Raiuno.
15. In un ipotetico quiz televisivo, alla domanda “Dove si trova Arcore?”, il concorrente avrebbe risposto. “Non lo so”.
16. Il giornalista Marco Travaglio, giovanissimo, sognava di scrivere un libro ma, pur scervellandosi, non riusciva a trovarne il protagonista.
17. “Palermo-Milano” era solo andata. Ora molti la percorrono in entrambi in sensi.
18. I cavalli non entravano nelle camere d’albergo.
19. La lombosciatalgia, causata dall’uso eccessivo dei tacchi, era un problema che colpiva solo le donne.

domenica, aprile 23, 2006

Potere alla Parola (rubrica a cura del vostro Gianni)

Ho fatto fatica a dormire stanotte. Sarà perché ero da solo e preferivo riscaldare il talamo in dolce compagnia, o semplicemente sono 3 settimane che la notte mi invita al sonno ed io declino quasi sempre l’offerta (mi chiedo come faccia la gente tormentata per davvero a convivere con questo problema). Quando apro gli occhi la mia stanza è trafitta dai raggi di mattino, una confusa orgia di pulviscoli che si muove al tempo della sveglia targata Motorola. Odio questo rumore. Preferirei farmi svegliare da suoni meno indisponenti. Accendo la TV: tette-culi-tette-culi-spot-culi-reality-tette-promo-videopagotti-tette-trailers-culi-spot-tette (a questo punto è più hardcore la messa in diretta sulla RAI!). Spengo la TV. Accendo lo stereo, il mio dito cerca veloce “Paint Your Target” dei Fightstar. Che canzone magnifica, Pinotto mi ha salvato portandomi questo cd da Londra. Aspetto che finisca, non si lascia mai una song a metà. Mi tocco la barba, cazzo potrei sembrare il figlio di Gheddafi. Spengo lo stereo e decido di trascinare i miei 23 anni sotto la doccia per poi radermi di dosso la noia, quando all’improvviso vengo attratto da interferenze esterne. Il suono delle campane che si abbraccia con il cinguettio dei passerotti. Armonica delizia. Mi affaccio dal balcone e vedo una Milano sveglia ma ancora assonnata, splendida perché quasi immobile, svestita dalla sua solita frenesia. La mia via sta riacquistando il suo verde. Il sole ha letteralmente preso a calci le tenebre, che hanno sanguinato luce da tutti i pori. Le rotaie del tram non gracchiano da un po’, come se avessero smesso per rispetto di questa calma surreale. Oggi la mia città è proprio fantastica. E sono queste piccole cose che mi rendono allegro, tramutano il mio eterno broncio in sorriso, il mio inferno in paradiso.
Buongiorno Milano!
Gianni.


Còl coeùr in màn

Me sont desmentegàa de spiegà bén
quèl che l'è'l titol della mia poesia,
ma sont sicùr che avìi capì almén
che l'è ànca vòstra, mìnga sòl cà mia.
L'è tùt el nòst paès còi sò magàgn
e i sò virtùu che l'hann fàa grand e bèll,
cònt i sò vèer pianùr e i sò montagn,
che fann de divisòri e de capèll.
L'è l'ària che respiròm nùm nativ
e tùtti insèmma quèi che chi a Milàn
troeùven de podè stà e podè viv
in armonia e còl coeùr in màn.
(Vincenzo Migliavacca)

mercoledì, aprile 19, 2006

Febbre a 90’, calcio e vita secondo me, Pinotto.


E’ giunta l’ora. Stasera dopo 93 anni si chiude la storia europea dello stadio di Highbury, casa dell’Arsenal.
Si gioca la semifinale di Champions League, la prima che verrà disputata su questo terreno di gioco e, per assurdo, anche l’ultima. L’Arsenal ha scelto l’ultimo anno, quello in cui le proprie mura per più di 90 anni sarebbero dovute diventare condomini per famiglie agiate e benestanti, per raggiungere l’unica semifinale della propria storia nella massima competizione europea.
Vieira, giocatore simbolo e capitano, se n’è andato la scorsa estate; Henry, l’artefice principale del miracolo stagionale se ne andrà, novanta probabilità su cento, nel prossimo calciomercato. Così dopo il sorteggio degli ottavi, pescando il Real Madrid, molti avrebbero volentieri iniziato a montare citofoni e portoni. Per non parlare di chi, avendo visto uscire dalle sfere di selezione dei quarti di finale la Juventus, sarebbe corso volentieri in un’agenzia immobiliare di Islington per assicurarsi il futuro immobile.
Lo stadio a fine stagione chiuderà lo stesso ma, nonostante tutte queste avversità, nessuno ha potuto imporre l’addio anticipato ad HIGHBURY, Casa del calcio.

giovedì, aprile 13, 2006

Potere alla Parola (rubrica a cura del vostro Gianni)

Questa volta non sono in grado di contribuire con le mie parole ad esemplificare un tema che si regge già da solo (pur barcollando!). Le presunzioni didascaliche finiscono quando iniziano a parlare questi saggi, che decantano le lodi di una delle migliori invenzioni di sempre, nonché loro fonte di ispirazione!
Cin Cin, e buona lettura!
Gianni.

Il vino mi spinge,
il vino folle, che fa cantare anche l’uomo più saggio,
e lo fa ridere mollemente e lo costringe a danzare,
e tira fuori parola, che sta meglio non detta.
(Omero)

Ciò che sta nel cuore del sobrio è sulla lingua dell’ubriaco.
(Plutarco)

Da saggia versaci il tuo vino: le troppe speranze
contieni in termini brevi: parli e già l’ora è fuggita.
Cogli il giorno e del dubbio domani diffida.
(Orazio)

Bisogna essere ebbri. Tutto qui: è l’unico problema. Per non sentire l’orribile peso del Tempo che vi spezza le spalle e vi piega verso terra, bisogna che v’inebriate senza tregua. Ma di cosa? Di vino, di poesia o di virtù, a piacer vostro. Ma inebriatevi.
(Charles Baudelaire)

Un vino d’oro splendeva nei bicchieri
Che ci inebriò,
L’amore, nei tuoi occhi neri,
Fuoco in una radura, s’incendiò.
(Attilio Bertolucci)

Però che Boheme confortevole, giocata tra case e osterie, quando ad ogni bicchiere rimbalzano le filosofie.
(Francesco Guccini)

Si può bere troppo, ma non si beve mai abbastanza.
(Gotthold Ephraim Lessing)

A me piacciono gli anfratti bui
delle osterie dormienti,
dove la gente culmina nell’eccesso del canto,
a me piacciono le cose bestemmiate e leggere,
e i calici di vino profondi,
dove la mente esulta,
livello magico di pensiero.
Troppo sciocco è il piangere sopra un amore perduto
malvissuto e scostante,
meglio l’acre vapore del vino
indenne,
meglio l’ubriacatura del genio,
meglio sì meglio,
l’indagine sorda delle scorrevolezze di vite;
io amo le osterie
che parlano il linguaggio sottile
della lingua di Bacco,
e poi nelle osterie
ci sta il nome di Charles
scritto a caratteri d’oro.
(Alda Merini)

Adoro farmi un Martini
perfino un secondo bicchiere
al terzo finisco sotto il tavolo
al quarto sotto il mio cavaliere.
(Dorothy Parker)

E i bicchieri erano vuoti
e la bottiglia in pezzi
E il letto spalancato
e la porta sprangata
E tutte le stelle di vetro
della bellezza e della gioia
risplendevano nella polvere
nella camera spazzata male
Ed io ubriaco morto
ero un fuoco di gioia
e tu ubriaca viva
nuda tra le mie braccia .
(Jacques Prévert)

Una delle mie signore di un tempo mi aveva urlato una volta: “Tu bevi per scappare dalla realtà!”
“Naturalmente, cara”.
(Charles Bukowski)

mercoledì, aprile 12, 2006

Febbre a 90’, calcio e vita secondo me, Pinotto.

Doveva finire 3 a 0. Alle tre del pomeriggio circa, gli exit poll prevedevano una vittoria netta di Prodi. Dalle 18, invece, lo scenario era quello di Instanbul, finale di Champions League dello scorso anno, alla rovescia per Berlusconi. 3 a 1, 3 a 2, 3 a 3. Con Emilio Fede su Rete 4 a cantare, al posto della Kop di Liverpool, “You will never walk alone” Cavaliere.
Il 3 a 3 sembrava non sbloccarsi, un pareggio infinito con relativo fischio di chiusura e rinvio ai tempi supplementari con molti cittadini-elettori ormai immersi nel sonno per l’ora tardissima.
Alla fine è stata Italia-Germania 4 a 3, vittoria dell’Unione in zona Cesarini ma, al contrario della semifinale mondiale di Messico ’70, con solo mezza Italia che esulta.
Aspettando la Germania, calcistica, e non il Paese con annesso modello politico da imitare, per riunificarsi.
“Le partite non finiscono mai” è il titolo di un libro sul calcio scritto da Darwin Pastorin, in questo caso speriamo che, almeno su questa, si possa emettere il fischio finale.

martedì, aprile 04, 2006

Uncorrectly political: i graffi di Gianni e Pinotto

Tra ubriachi e utili idioti.

“Francamente, a questo punto, i tentativi di distribuire in maniera bipartisan le colpe di un clima teso un poco fanno ridere, e un poco fanno girare le scatole”.

Michele Serra è uno dei pochi giornalisti e scrittori dal cervello in perfetta sincronia con la penna…un miracolo che ancora non sia stato ancora tacciato di “uso criminoso dei media” e censurato! A pochi giorni dalle elezioni ci ritroviamo di nuovo a dover sguazzare in un pantano di insulti, gazzarre e dita cariche d’odio puntate in modo minaccioso. Il “curato bonario” che dà del “ballista” all’ “uomo che usa i numeri come un ubriaco i lampioni: più per sostegno che per illuminazione”. Si racconta di un’Italia dominata da “utili idioti”, con transessuali che distribuiscono spinelli, no global con i bulloni in mano, gente che dice viva Fidel e via discorrendo. Le cadute di stile si sprecano. Le scuse fatte dai due pretendenti al trono si sciolgono come neve al sole, troppo tardi per recuperare il fair-play. Ma ormai la cosa non sconvolge più, noi italiani siamo abituati da tempo a questi momenti di avanspettacolo. Quello che mi spaventa non è il facèto ma il serio, sono le argomentazioni con cui poi si vincono le elezioni. Ho come la netta impressione che la nostra classe dirigente sia rimasta un po’ indietro con i tempi. La scienza imperfetta di numeri e cifre (usata, da che mondo è mondo, sempre in maniera strumentale) ha smesso di far presa sul cittadino monitorante. Le parolone e i tecnicismi non bastano a coprire quella che è in fondo sterilità di idee concrete per il nostro Belpaese malandato. Mi immagino cosa capiscano la vecchietta pensionata o l’uomo della strada quando gli si vomitano addosso termini quali “sostituzione di gettito”, “cuneo contributivo” o “rendite catastali” (a dir la verità, spesso neppure io ci capisco una sega!). Gli esperti di marketing elettorale che fanno da baby-sitter ai nostri candidati dovrebbero sapere che ormai il “politichese” non fa trendy! Quello di cui l’Italia ha bisogno a mio avviso è una radicale spinta dal basso. La politica non ha necessità di spettacolarizzarsi ulteriormente per poter parlare in modo corretto ai cittadini, deve invece dare più ascolto alla base, renderla partecipe in modo più che attivo, sentirsi diretta responsabile della situazione sociale e farsene carico (invece che addossarsi sempre le colpe da un governo all’altro), dialogare seriamente invece di sputare insulti, rigurgiti populisti e demagogie, lasciare molto più spazio alle donne (molto più sensibili alle questioni sopraccitate nonché difficilmente corruttibili) ma soprattutto puntare su politici più giovani e carichi di passione. Questa non è una favola, è una realtà che si respira in alcuni paesi europei (quelli scandinavi in primis) da molto tempo. Se non possiamo uniformarci, almeno proviamo ad avvicinarci. Per fare questo bisogna rimboccarsi le maniche e crederci un po’, a partire da noi, che abbiamo un sacrosanto diritto di voto e la possibilità di partecipare, di farci sentire se tutti lo vogliamo! Ti sbagli caro Professore, gli ubriachi siamo noi, ubriachi di speranza che usano il lampione del buon senso. Ti sbagli anche tu caro Cavaliere, gli utili idioti siamo noi! Del resto, come diceva un vecchio proverbio russo: “lo scemo del villaggio è il profeta di dio”.
Ironie socratiche a parte, votate almeno con la testa se non avete cuore!

Un abbraccio,
Gianni.


Il Terzo Candidato

Il terzo candidato non ha bisogno della Tv,
il suo media è il contatto con la gente.
Il terzo candidato crede nelle proprie idee,
quando le espone cattura l’attenzione senza alzare la voce.
Il terzo candidato non insulta l’avversario,
lo rispetta, se entrambi hanno a cuore il futuro del paese più che gli interessi personali.
Il terzo candidato Ripudia la guerra!
Il terzo candidato non ha una scorta di 3 auto,
quando fa la spesa, magari vicino a casa nostra,
sa quanto costa un kg di pane.
Il terzo candidato si lamenta del caroprezzi,
e cerca una via per limitarlo.
Il terzo candidato scende in piazza con i giovani
contro l’eccessiva precarietà e l’insicurezza che li circonda;
con le donne, per difendere i loro diritti.
Il terzo candidato non ha scheletri nell’armadio,
amici “scalatori” di banche, collaboratori indagati o,
ancor peggio, condannati,
non ha macchine per distruggere pezzi di carta scomodi.
Il terzo candidato è nuovo,
non è una minestra riscaldata del 1994, del 1996 o del 2001.
Il terzo candidato è un uomo giusto, è un uomo del popolo.
Il terzo candidato è: Torna Berlinguer!
Il terzo candidato non deve essere per forza uomo,
può essere anche donna e senza una legge che lo imponga.
Il terzo candidato è tra Noi e non tra loro;
dobbiamo trovarlo e meritarlo per cambiare veramente le cose.

Pinotto

Febbre a 90’, calcio e vita secondo me, Pinotto.

Julio Gonzalez, calciatore del Vicenza, nel dicembre scorso è stato vittima di un gravissimo incidente automobilistico. La gravità delle ferite riportate ha costretto i medici ad amputargli il braccio sinistro. Nei giorni seguenti, dimesso dall’ospedale senza un braccio e con l’altro ancora ingessato, ha tenuto una conferenza stampa in cui ha dichiarato che, per lui, la speranza è di poter essere il primo nel riuscire a tornare a giocare o, almeno, quella di poter fare l’allenatore dei giovani.
Che cos’è la speranza nello sport? Ma, soprattutto, Chi è?
Alex Zanardi, al quale di gambe ne hanno tolte due, ha portato sicuramente la speranza nell’automobilismo; Lance Armstrong, vincendo il male più grande, lo ha fatto nel ciclismo e Jona Lomu, All Black al quale è stato trapiantato un rene, nel rugby. Chi è la speranza nel calcio? Chi ha dato l’esempio in questo sport e può aiutare le persone che sentono di non essere alla pari con coloro che compongono quella che molti chiamano “normalità”?
Ponendomi questa domanda, la risposta che mi è balzata in testa, senza lasciare spazio alle altre, è solo una, Manuel Francisco dos Santos, detto Manè.
“La poliomielite. A Pau Grande non c’era quasi niente, ma la poliomielite non mancava e al mio passerotto aveva seccato le gambe. Ma questo a Manè sembrava non importare. Lui era sempre allegro, anche nella disgrazia, anche se camminava male e poco, anche se non poteva correre dietro al pallone come gli altri e a suo padre, nel vederlo così piccolo e storto, si riempiva la gola di lacrime. Fu per lenire quella pena che, in qualche modo, lo convinsi a portare suo figlio dal medico, a Rio. Deamaro se lo mise in spalla, con me sempre accanto, e andammo a parlare con questo dottore che operava le gambe storte dei bambini. Quello se lo prese e lo tenne per ore sotto i ferri cercando di raddrizzargliele, ma ci riuscì solo a metà, cosicché quando ce lo restituì aveva uno sguardo imbarazzato. Disse che almeno con la sinistra avrebbe camminato.”
“Un giorno di luglio (Manè n.d.r.) stava guardando i bambini giocare a pallone, io assieme a lui, come sempre. La palla rotolò verso di noi e quando Joao Paulo Pirinha, per scherno, gli gridò di calciarla, vidi negli occhi di Manè la felicità andare via. Si girò verso Joao Paulo e gli urlò di venirsela a prendere, la sua palla, e poi riprese a sorridere, ma io avevo capito che dentro stava tremando. Allora lo guardai e lui si sentì più tranquillo. Posò davanti ai suoi piedi la palla, si asciugò sui calzoncini il sudore delle mani e rimase dritto ad aspettare Pirinha. Ero accanto a lui e lo tenevo per un braccio mentre l’altro si avvicinò lentamente e infine si piazzò di fronte a Manè. Lo strinsi ancora più forte e forse il mio passerotto capì, così guardò l’avversario negli occhi e sorrise, poi si piegò sulla sinistra, appoggiandosi al mio fianco e mentre Joao Paulo allungava la gamba da quella parte, lui schizzò dall’altra, il pallone tra le gambe e il sorriso di nuovo sulle labbra. Da quel giorno nessuno riuscì più a togliergli la palla, perché ogni volta Manè si appoggiava al mio braccio e scappava dall’altra parte sorridendo, mentre la gente si nutriva di allegria, rimaneva affascinata da quel passo improvviso di danza e lo chiamava soltanto Garrincha.” (Ugo Ricciarelli, L’angelo di Coppi.)
Garrincha non è rimasto in quel campetto di Pau Grande; nonostante avesse la poliomielite, e una gamba più corta dell’altra, ha vinto 2 Coppe del Mondo con il Brasile nel 1958 e nel 1962, diventando anche capocannoniere in quest’ultima.

domenica, aprile 02, 2006

Potere alla Parola (rubrica a cura del vostro Gianni)

You can never hold back spring…
Così cantava, con la solita aria da rain dog, il grande Tom Waits nell’ultimo film di Roberto Benigni. Dargli torto sarebbe una bestemmia. Ha perfettamente ragione. Come si fa a fermare l’impeto di una vita che vuole prepotentemente rinascere? Come si può trattenere l’esplosione di colori e odori che piano piano travolge tutta la città e ruba un po’ di spazio al suo consueto grigiore? La primavera sta arrivando, ormai la sento dentro di me. Vedo già i pallidi volti cercare il nuovo sole, vedo i marciapiedi dei locali affollarsi di buonumore, le paranoie giornaliere perdere stamina e consistenza, vedo le belle ragazze in sovrappensiero camminare leggiadre per strada, con le loro forme di nuovo in risalto che quasi tolgono il respiro, proprio come i pollini che nel mio naso irritato troveranno dimora.
E pensare che Loretta Goggi ha pure avuto il coraggio di maledirla! Non c’è limite alla follia delle persone.
Buona primavera a tutti!
Il vostro Gianni.

Springtime

Veloce come un vento burrascoso, l’inverno dei tremori
Se n’è andato, il tepore scioglie i gelidi rancori.
Una nuova luce risveglia la mente
Impercettibili attimi cancellano gli affanni della vita
E i giorni lottano più aspramente
Nell’attesa della loro dipartita.
Fioriscono i balconi, i tanti viali alberati.
Risbocciano con amorosa violenza
Germogli di speranza nei cuori travagliati.
(Nicolò Cascinu)

Primaverile

Nuvole, sole, prato verde e case
Sull’altura, confusi. Primavera
Ha messo nell’aria fredda dei campi
La grazia di quei pioppi lungo l’argine.

Dalla valle i sentieri vanno al fiume:
Là, sul ciglio dell’acqua, amore aspetta.
Per te indossano i campi questa veste
Di giovane, oh invisibile compagna?

E quest’odore del faveto al vento?
E quella prima bianca margherita?
Sei con me dunque? Nella mano sento

Un doppio battito e il cuore mi grida
E nelle tempie mi assorda il pensiero:
Sì, sei tu che fiorisci, che resusciti.
(Antonio Machado)