Te ne sei andata nel silenzio, spegnendoti tra le braccia della mamma . Me lo aspettavo già da un po’. Avevi un cuore grande grande, ma ormai troppo debole per resistere al maledetto caldo di giugno. Non ci sei più, e ora nonostante i 35 gradi la mia stanza è diventata gelida, mi sento terribilmente solo. Diciassette anni sono tanti per un cane, ma mai abbastanza per chi ti ha voluto così tanto bene, Carlotta. Non mi dimenticherò mai di tutto l’affetto smisurato con cui hai riempito questi bellissimi anni; avresti fatto tutto per me, saresti perfino morta per salvarmi, ne sono sicuro. Mi mancheranno i tuoi baci, la tua coda mai ferma, il tuo vivissimo appetito, il tuo ringhiare quando non sopportavi gli scherzi di Camilla, il tuo abbaiare al suono del campanello, la dolcezza dei tuoi occhi. Ora che non si ode più il tuo zampettare sul pavimento, sento un enorme vuoto crescermi dentro. Resta solo qualche vecchia foto, la tua ciotola ancora piena d’acqua, il tuo guinzaglio, il rimorso per averti visto invecchiare con un po’ d’indifferenza ed il rimpianto per le poche attenzioni che ti ho dato in questo periodo. Tutti i ricordi e le lacrime di questi giorni sono per te, per un’amica fedele che ho perso, e mai più ritroverò.
Ave atque vale Carlotta, riposa in pace.
Gianni
mercoledì, giugno 28, 2006
lunedì, giugno 19, 2006
Febbre a 90’, calcio e vita secondo me, Pinotto.
18 giugno, 90° minuto di Francia - Corea del Sud. Nella Francia entra Trezeguet ed esce Zinedine Zidane. Nulla di strano, apparentemente, se non fosse che il n° 10 francese ha deciso di abbandonare il calcio dopo questo mondiale. L’ammonizione presa qualche minuto prima e la situazione semi-tragica della Francia nel girone fanno pensare all’ultima passerella di Zidane sul tappeto verde.
Da italiano credo dovrei godere, tuttavia, dalle ultime analisi del sangue, di nazionalismo non me ne è stato trovato molto.
La tristezza sta nel desiderio di un finale degno per così tanta grazia portata ad uno sport come il calcio. Ettore fu ucciso da Achille, non dall’ultimo dei soldati greci. Anche Zizou, sportivamente parlando, merita il suo Achille.
Dovrei odiarlo probabilmente. In due anni, tra il 1998 e il 2000, ha tolto all’Italia un Mondiale, un Europeo e un commissario tecnico, Dino Zoff, dimessosi dopo che Berlusconi dichiarò che, nella finale dell’Europeo, Zidane andava marcato meglio.
Per cinque anni ha militato nella squadra italiana più seguita, la Juventus, ma, senza ombra di dubbio, anche la più odiata da coloro che parteggiano per le rivali. Zizou l’ ha vestita quella maglia ma più volte il colore sbiadiva e lo rendeva universale, mai un campione fu apprezzato quanto lui dai tifosi avversari della vecchia signora.
Nulla sembrava forzato, lezioso, era tutto come parte di una melodia che il campione francese seguiva danzando sul terreno con la sfera.
Il suo gesto più noto è la veronica. Per dribblare l’avversario, il corpo ruota sopra la palla; ci si appoggia col primo piede, la sposta col secondo.
La visione che stupisce è quella di un uomo con la corporatura di un medio-massimo della boxe che chiede in prestito la leggiadria a Nureyev per eseguire il suo colpo migliore.
Un arbitro italiano, che ha diretto per diversi anni in Serie A, ha confessato in un’intervista che, l’unico momento nella sua carriera in cui perse di vista il pallone, fu a causa di una finta di Zizou, il quale, disorientò anche lui oltre al difensore.
Da ragazzino se scegli il ruolo del difensore gli allenatori ti insegnano che il dogma è quello di guardare sempre la palla, per non farti ingannare. Con Zidane non puoi. Ti perdi il meglio.
E’ come per un dentista visitare Monica Bellucci e guardare solo la carie. E’ riduttivo fermarsi ad osservare solo la parte, è il tutto che rende l’idea dell’unicità del personaggio.
L’Avvocato Agnelli nel 2001 dichiarò, dopo che Moggi aveva incassato i 150 miliardi del trasferimento del campione francese al Real Madrid, che Zidane fosse più bello che utile. Questa affermazione è una prova innegabile che ogni grande amore (come il suo verso Zinedine) va rinnegato dopo il tradimento. La sua frase, comunque, venne confutata nove mesi dopo.
Zidane, con una mezza rovesciata di sinistro sotto il cielo di Glasgow, regalò la Coppa dei Campioni al Real, riformulando il concetto di “non utilità”.
I Platters, aggiungendo una parola al titolo della loro canzone, potrebbero descrivere rapidamente questo eroe del nostro tempo: “ Only you, Zizou”.
Da italiano credo dovrei godere, tuttavia, dalle ultime analisi del sangue, di nazionalismo non me ne è stato trovato molto.
La tristezza sta nel desiderio di un finale degno per così tanta grazia portata ad uno sport come il calcio. Ettore fu ucciso da Achille, non dall’ultimo dei soldati greci. Anche Zizou, sportivamente parlando, merita il suo Achille.
Dovrei odiarlo probabilmente. In due anni, tra il 1998 e il 2000, ha tolto all’Italia un Mondiale, un Europeo e un commissario tecnico, Dino Zoff, dimessosi dopo che Berlusconi dichiarò che, nella finale dell’Europeo, Zidane andava marcato meglio.
Per cinque anni ha militato nella squadra italiana più seguita, la Juventus, ma, senza ombra di dubbio, anche la più odiata da coloro che parteggiano per le rivali. Zizou l’ ha vestita quella maglia ma più volte il colore sbiadiva e lo rendeva universale, mai un campione fu apprezzato quanto lui dai tifosi avversari della vecchia signora.
Nulla sembrava forzato, lezioso, era tutto come parte di una melodia che il campione francese seguiva danzando sul terreno con la sfera.
Il suo gesto più noto è la veronica. Per dribblare l’avversario, il corpo ruota sopra la palla; ci si appoggia col primo piede, la sposta col secondo.
La visione che stupisce è quella di un uomo con la corporatura di un medio-massimo della boxe che chiede in prestito la leggiadria a Nureyev per eseguire il suo colpo migliore.
Un arbitro italiano, che ha diretto per diversi anni in Serie A, ha confessato in un’intervista che, l’unico momento nella sua carriera in cui perse di vista il pallone, fu a causa di una finta di Zizou, il quale, disorientò anche lui oltre al difensore.
Da ragazzino se scegli il ruolo del difensore gli allenatori ti insegnano che il dogma è quello di guardare sempre la palla, per non farti ingannare. Con Zidane non puoi. Ti perdi il meglio.
E’ come per un dentista visitare Monica Bellucci e guardare solo la carie. E’ riduttivo fermarsi ad osservare solo la parte, è il tutto che rende l’idea dell’unicità del personaggio.
L’Avvocato Agnelli nel 2001 dichiarò, dopo che Moggi aveva incassato i 150 miliardi del trasferimento del campione francese al Real Madrid, che Zidane fosse più bello che utile. Questa affermazione è una prova innegabile che ogni grande amore (come il suo verso Zinedine) va rinnegato dopo il tradimento. La sua frase, comunque, venne confutata nove mesi dopo.
Zidane, con una mezza rovesciata di sinistro sotto il cielo di Glasgow, regalò la Coppa dei Campioni al Real, riformulando il concetto di “non utilità”.
I Platters, aggiungendo una parola al titolo della loro canzone, potrebbero descrivere rapidamente questo eroe del nostro tempo: “ Only you, Zizou”.
sabato, giugno 17, 2006
Potere alla Parola (rubrica a cura del vostro Gianni)
“La sola cosa che ci consoli dalle miserie è la distrazione, e tuttavia essa è la più grande delle nostre miserie, perché ci impedisce in primo luogo di riflettere su noi stessi, e fa in modo che ci perdiamo insensibilmente”.
(Blaise Pascal)
Forse dovrei più darmi al “divertissement” Pascaliano, perché su me stesso ci rifletto già troppo e a volte mi fa male. Ultimamente sto pensando molto al vivere, o meglio, al modo in cui spesso non ci accorgiamo di vivere. Ci sono parti infinitesimali di luci, di colori e sapori, di situazioni, di giorni interi che ci sfuggono, che non riusciamo ad intrappolare e metabolizzare nel nostro vissuto. Cosa abbastanza naturale, ma non del tutto meccanica e voluta. Mi sto accorgendo di perdere piano piano tutte “piccole” cose che dimentico, ma che sono fondamentali e lo saranno nella memoria. Mi sto sforzando insomma di capire e ricordare ogni secondo che vivere è cercare il rosa del tramonto nel grigio delle grandi città, vivere vuol dire ringraziare e sorridere e fare tutto questo come cosa spontanea. Vivere è meravigliarsi sempre come i bambini, Zaumazein come diceva secoli fa un tale chiamato Aristotele (Mi duole dirlo caro Povia, ma scopiazzare i filosofi non è per nulla originale!). Vivere è capire di avere una famiglia straordinaria, e rendersi conto di questa fortuna ogni singolo giorno. Vivere vuol dire esagerare, eccedere nella ricerca di se stessi e mai accontentarsi di nulla. Vuol dire piangere commossi davanti a un “ti voglio bene” sussurrato da un amico vero. Vivere è conoscere un pochino le culture “altre”. Vivere è amare, qualsiasi attitudine e orientamento sessuale si abbia, perché nulla è contro natura e si deve essere indiscriminatamente liberi di amare. Amare con il corpo e con la testa. Vivere è fare i “romantici a Milano”, scarrozzati in vespa da una conoscenza un po’ casuale ma diventata assai preziosa. Vivere è anche arrabbiarsi, disperarsi, lamentarsi, sono tutte altre angolature importantissime! Ma vivere è non darsi mai per vinti, non mollare di fronte ai mille ostacoli che ti si pareranno davanti. Vivere è perdersi nel caldo delle note di un concerto d’estate, perdersi affascinati tra le strofe di una canzone splendida…una canzone speciale che parla di vita.
Gianni
Lettera
In giardino il ciliegio è fiorito agli scoppi del nuovo sole,
il quartiere si è presto riempito di neve di pioppi e di parole.
All' una in punto si sente il suono acciottolante che fanno i piatti,
le TV son un rombo di tuono per l' indifferenza scostante dei gatti;
come vedi tutto è normale in questa inutile sarabanda,
ma nell' intreccio di vita uguale soffia il libeccio di una domanda,
punge il rovaio d' un dubbio eterno, un formicaio di cose andate,
di chi aspetta sempre l' inverno per desiderare una nuova estate...
Son tornate a sbocciare le strade, ideali ricami del mondo,
ci girano tronfie la figlia e la madre nel viso uguali e nel culo tondo,
in testa identiche, senza storia, sfidando tutto, senza confini,
frantumano un attimo quella boria grida di rondini e ragazzini;
come vedi tutto è consueto in questo ingorgo di vita e morte,
ma mi rattristo, io sono lieto di questa pista di voglia e sorte,
di questa rete troppo smagliata, di queste mete lì da sognare,
di questa sete mai appagata, di chi starnazza e non vuol volare...
Appassiscono piano le rose, spuntano a grappi i frutti del melo,
le nuvole in alto van silenziose negli strappi cobalto del cielo.
Io sdraiato sull' erba verde fantastico piano sul mio passato,
ma l' età all' improvviso disperde quel che credevo e non sono stato;
come senti tutto va liscio in questo mondo senza patemi,
in questa vista presa di striscio, di svolgimento corretto ai temi,
dei miei entusiasmi durati poco, dei tanti chiasmi filosofanti,
di storie tragiche nate per gioco, troppo vicine o troppo distanti...
Ma il tempo, il tempo chi me lo rende? Chi mi dà indietro quelle stagioni
di vetro e sabbia, chi mi riprende la rabbia e il gesto, donne e canzoni,
gli amici persi, i libri mangiati, la gioia piana degli appetiti,
l' arsura sana degli assetati, la fede cieca in poveri miti?
Come vedi tutto è usuale, solo che il tempo stringe la borsa
e c'è il sospetto che sia triviale l' affanno e l' ansimo dopo una corsa,
l' ansia volgare del giorno dopo, la fine triste della partita,
il lento scorrere senza uno scopo di questa cosa... che chiami... vita...
(Francesco Guccini)
(Blaise Pascal)
Forse dovrei più darmi al “divertissement” Pascaliano, perché su me stesso ci rifletto già troppo e a volte mi fa male. Ultimamente sto pensando molto al vivere, o meglio, al modo in cui spesso non ci accorgiamo di vivere. Ci sono parti infinitesimali di luci, di colori e sapori, di situazioni, di giorni interi che ci sfuggono, che non riusciamo ad intrappolare e metabolizzare nel nostro vissuto. Cosa abbastanza naturale, ma non del tutto meccanica e voluta. Mi sto accorgendo di perdere piano piano tutte “piccole” cose che dimentico, ma che sono fondamentali e lo saranno nella memoria. Mi sto sforzando insomma di capire e ricordare ogni secondo che vivere è cercare il rosa del tramonto nel grigio delle grandi città, vivere vuol dire ringraziare e sorridere e fare tutto questo come cosa spontanea. Vivere è meravigliarsi sempre come i bambini, Zaumazein come diceva secoli fa un tale chiamato Aristotele (Mi duole dirlo caro Povia, ma scopiazzare i filosofi non è per nulla originale!). Vivere è capire di avere una famiglia straordinaria, e rendersi conto di questa fortuna ogni singolo giorno. Vivere vuol dire esagerare, eccedere nella ricerca di se stessi e mai accontentarsi di nulla. Vuol dire piangere commossi davanti a un “ti voglio bene” sussurrato da un amico vero. Vivere è conoscere un pochino le culture “altre”. Vivere è amare, qualsiasi attitudine e orientamento sessuale si abbia, perché nulla è contro natura e si deve essere indiscriminatamente liberi di amare. Amare con il corpo e con la testa. Vivere è fare i “romantici a Milano”, scarrozzati in vespa da una conoscenza un po’ casuale ma diventata assai preziosa. Vivere è anche arrabbiarsi, disperarsi, lamentarsi, sono tutte altre angolature importantissime! Ma vivere è non darsi mai per vinti, non mollare di fronte ai mille ostacoli che ti si pareranno davanti. Vivere è perdersi nel caldo delle note di un concerto d’estate, perdersi affascinati tra le strofe di una canzone splendida…una canzone speciale che parla di vita.
Gianni
Lettera
In giardino il ciliegio è fiorito agli scoppi del nuovo sole,
il quartiere si è presto riempito di neve di pioppi e di parole.
All' una in punto si sente il suono acciottolante che fanno i piatti,
le TV son un rombo di tuono per l' indifferenza scostante dei gatti;
come vedi tutto è normale in questa inutile sarabanda,
ma nell' intreccio di vita uguale soffia il libeccio di una domanda,
punge il rovaio d' un dubbio eterno, un formicaio di cose andate,
di chi aspetta sempre l' inverno per desiderare una nuova estate...
Son tornate a sbocciare le strade, ideali ricami del mondo,
ci girano tronfie la figlia e la madre nel viso uguali e nel culo tondo,
in testa identiche, senza storia, sfidando tutto, senza confini,
frantumano un attimo quella boria grida di rondini e ragazzini;
come vedi tutto è consueto in questo ingorgo di vita e morte,
ma mi rattristo, io sono lieto di questa pista di voglia e sorte,
di questa rete troppo smagliata, di queste mete lì da sognare,
di questa sete mai appagata, di chi starnazza e non vuol volare...
Appassiscono piano le rose, spuntano a grappi i frutti del melo,
le nuvole in alto van silenziose negli strappi cobalto del cielo.
Io sdraiato sull' erba verde fantastico piano sul mio passato,
ma l' età all' improvviso disperde quel che credevo e non sono stato;
come senti tutto va liscio in questo mondo senza patemi,
in questa vista presa di striscio, di svolgimento corretto ai temi,
dei miei entusiasmi durati poco, dei tanti chiasmi filosofanti,
di storie tragiche nate per gioco, troppo vicine o troppo distanti...
Ma il tempo, il tempo chi me lo rende? Chi mi dà indietro quelle stagioni
di vetro e sabbia, chi mi riprende la rabbia e il gesto, donne e canzoni,
gli amici persi, i libri mangiati, la gioia piana degli appetiti,
l' arsura sana degli assetati, la fede cieca in poveri miti?
Come vedi tutto è usuale, solo che il tempo stringe la borsa
e c'è il sospetto che sia triviale l' affanno e l' ansimo dopo una corsa,
l' ansia volgare del giorno dopo, la fine triste della partita,
il lento scorrere senza uno scopo di questa cosa... che chiami... vita...
(Francesco Guccini)
venerdì, giugno 09, 2006
ITALIA IMBAVAGLIATA
Ieri sera Beppe Grillo ha riunito al Teatro Carcano di Milano alcuni dei personaggi che, per motivi vari, sono scomparsi dal mondo televisivo. In pratica, i CENSURATI.
Sul palco erano presenti: Marco Travaglio, Antonio Cornacchione, Antonio Di Pietro, Natalino Balasso, Oliviero Beha, Tana de Zulueta e Gianni Barbacetto.
Il concetto fondamentale emerso è che, per la situazione vigente nel nostro Paese, i censurati non sono loro, siamo noi. E’ a noi che le informazioni arrivano in modo distorto, quando arrivano; siamo noi che riceviamo informazioni da un programma come “Secondo voi”, in cui Mediaset fa credere alla gente che lo guarda (spero poca) che Del Debbio sia un opinionista. Al contrario, egli risulta essere, tramite ricerche su internet, un consulente di Forza Italia nonché uno degli ideatori del partito; quando si dice un opinionista al di sopra delle parti…
Ogni giorno circa 24 milioni di italiani guardano la televisione e molti di essi incamerano, attraverso essa, le uniche informazioni di cui ritengono di avere bisogno. Non che i giornali diano una grossa mano per certi versi.
Oggi su Repubblica l’incontro compare in un box che non supera le 800 battute. Per capirci meglio lo stesso spazio che, più avanti nel giornale, viene dato ai cani antibomba presenti nell’albergo della Nazionale Italiana di calcio.
Per modificare tale situazione l’onorevole dei Verdi Tana de Zulueta ha esposto la proposta di una legge di iniziativa popolare per cambiare la televisione pubblica in Italia. L’obiettivo principale è quello di regolamentare la materia per assicurare il pluralismo, la libertà, l’obiettività, la correttezza e l’imparzialità delle trasmissioni di reti pubbliche e private, sottraendo il servizio pubblico all’ingerenza dei partiti. In sostanza, servono 50.000 firme entro la metà di luglio. Al momento ne sono state raccolte solo 35.000, per maggiori informazioni e per capire dove si può firmare c’è un sito internet: www.perunaltratv.it .
Le adesioni dimostrano la serietà del progetto e si nota, sul volantino informativo, che oltre ai presenti hanno aderito personaggi come Margherita Hack, Enzo Biagi, Paul Ginsborg, Giovanni Veronesi, Antonio Tabucchi, Carlo Verdone, Fernan Ozpetek, Sergio Castelitto, i fratelli Guzzanti, Lucio Dalla, Elio e le Storie Tese, Paolo Rossi, Lella Costa, Alessandro Haber, Claudio Amendola e Francesca Neri. Insieme a tanti altri che renderebbero la televisione italiana sicuramente migliore.
Si è parlato anche del referendum del 25 e 26 giugno ma su questo argomento le parole più adatte sono sicuramente quelle scritte da Beppe Grillo sul suo blog.
“Immaginatevi i costituenti come una squadra di calcio, di cui allo stadio gli altoparlanti leggono la formazione.
La squadra del 1948: De Gasperi, Moro, La Pira, Rossetti, Lazzati , Croce, Einaudi, Valiani, Calamandrei, Parri, Nitti, Saragat, Pertini, Nenni, Togliatti, Amendola, Terracini.
La squadra del 2005: Berlusconi, Previti, Dell’Utri, Tremonti, Berruti, Bondi, Schifani, Sgarbi, Bossi, Borghezio, Calderoli, Castelli, La Russa, Fini, Nania.
Buona parte dei nomi della prima squadra sono nelle enciclopedie, non solo in quelle italiane. Buona parte dei nomi della seconda sono negli elenchi degli indagati, dei patteggiati, dei condannati.
In un Paese normale i giocatori della prima squadra sarebbero custoditi nella memoria e nella stima di ogni cittadino. In un Paese normale molti dei giocatori della seconda squadra sarebbero custoditi da guardie o da infermieri professionisti.
Un italiano famoso disse che un tempo il 10% dei parlamentari erano il meglio del Paese, il 10 % il peggio e il resto rappresentava il livello medio della popolazione.
E’ curioso che la Costituzione del 1948 sia stata scritta dal 10% dei migliori e quella del 2005 dal 10 % dei peggiori. Nell’Italia della ricostruzione gli italiani c’erano: leggevano più giornali di oggi, gli iscritti ai partiti erano il triplo di oggi. Nell’Italia della demolizione, gli italiani sembrano assenti.
L’Italia da patria del diritto è diventata la patri del rovescio, gli avvocati giudicano i giudici, i fuorilegge scrivono le leggi. E adesso anche la Costituzione.
Ma delle regole della Costituzione sembra interessare poco non solo a Porta a Porta ma anche a metà degli italiani.
Con la modifica di oltre 50 articoli della Costituzione, il precedente Governo ha introdotto un falso federalismo, mettendo in pericolo l’unità nazionale, colpendo elementari diritti dei cittadini, delle lavoratrici e dei lavoratori, indebolendo i poteri di importanti organi costituzionali.
PER QUESTE RAGIONI TI CHIEDIAMO DI VOTARE NO ALLA CONSULTAZIONE POPOLARE CHE SI TERRA’ A GIUGNO 2006.” Beppe Grillo
Non serve a nulla votare alle elezioni politiche per poi stare 5 anni a braccia conserte sul divano guardando Maurizio Costanzo o Bruno Vespa. E’ necessario darsi da fare e collaborare nelle iniziative possibili per cambiare le cose, poiché, se molti personaggi in Italia sono ormai incollati al loro piedistallo, è necessario spingerlo un po’ dal sotto per farli tremare e fargli capire che si può cadere.
I cittadini sono coloro che devono detenere il potere nel nostro Paese, gli altri sono solo dipendenti.
Pinotto,8 giugno 2006
venerdì, giugno 02, 2006
Buy or Die!!! Gli inviti all’ascolto di Gianni
Potremmo anche dire “Burn or Die”, dato il prezzo esorbitante dei dischi e la tendenza, mia e immagino vostra, a masterizzare qualsiasi miscuglio di note vi troviate tra le mani! Comprate, masterizzate, insomma fate quello che volete. Il mio intento è solo quello di consigliarvi qualche bel disco, perché le sole parole a volte non bastano, possono avere l’essenziale bisogno di essere armonicamente accompagnate. Detto questo, non mi resta che iniziare, proponendovi la mia personalissima recensione dell’ultimo full lenght targato Thursday.
Enjoy and keep on rockin’,
Gianni.
Thursday: A city by The Light Divided (Island/Victoy 2006)
Voto: 8
Certi dischi fanno proprio male. Ti colpiscono duramente, lasciando ferite aperte che difficilmente si rimarginano. L’ultima fatica del sestetto di New Brunswick ne è prova lampante: un lungo e doloroso percorso introspettivo che segna un continuum con il precedente capolavoro “War All The Time”. La guerra, quella che ogni giorno combattiamo nella nostra coscienza, questa volta ha frangenti urbani, ha il suono di lamiere che collidono brutalmente, il colore grigio della metropoli, l’odore di sogni bruciati e il sapore amaro del disincanto. Le luci si spengono e non ci resta che correre inseguiti da un treno avvolto dalle fiamme che viaggia ad alta velocità, per fuggire dalle nostre paure, dalle nostre inquietudini (“Counting 5-4-3-2-1”). Le chitarre, a tratti dolci e dilatate, a tratti nervose quanto la sofferta voce del frontman Geoff Rickly, sono il filo rosso che tiene assieme le undici tracce di questo lavoro, come sempre impreziosito da un tappeto sonoro all’altezza della situazione (ascoltare i loop di “At this velocity” per conferma). Ma il vero punto forte è indubbiamente rappresentato dai testi: le parole sono taglienti e cupe, ci raccontano la vera storia di una generazione quasi rassegnata al suo destino, che ha ben poco in cui credere (“fractured lives dissolving like sugar in the sacrament”), circondata dall’insicurezza fisica ed emotiva, sola ed inascoltata, seppur aggrappata ancora ad un sottile barlume di rivincita su un sistema corrotto e tirannico ( nella splendida “We will overcome” non mancano i riferimenti alla politica estera attuata dall’amministrazione Bush). L’unica pecca la si può individuare nell’uso massiccio di tastiere ed inserti elettronici , a volte ridondanti e sconsiderati, che fa perdere mordente e addolcisce le atmosfere più del dovuto. Detto questo, “A city by the light divided” è un disco curato e piacevole, forse meno diretto e digeribile di “War all the time” (la cui bontà compositiva resta inarrivabile), ma degno di essere ascoltato ed apprezzato in tutte le sue sfaccettature. Un disco con cui sollazzarsi nell’attesa di vederli finalmente suonare in Italia (agli inizi di settembre a Milano al “Rock in Hydro”…concerto imperdibile!), dedicato a tutti gli amanti dell’emo intimista e per nulla sdolcinato, ai “lovesong writers” senza speranze, o più semplicemente a chi vuole godersi quarantasei minuti di buona musica.
Website: www.thursday.net
Enjoy and keep on rockin’,
Gianni.
Thursday: A city by The Light Divided (Island/Victoy 2006)
Voto: 8
Certi dischi fanno proprio male. Ti colpiscono duramente, lasciando ferite aperte che difficilmente si rimarginano. L’ultima fatica del sestetto di New Brunswick ne è prova lampante: un lungo e doloroso percorso introspettivo che segna un continuum con il precedente capolavoro “War All The Time”. La guerra, quella che ogni giorno combattiamo nella nostra coscienza, questa volta ha frangenti urbani, ha il suono di lamiere che collidono brutalmente, il colore grigio della metropoli, l’odore di sogni bruciati e il sapore amaro del disincanto. Le luci si spengono e non ci resta che correre inseguiti da un treno avvolto dalle fiamme che viaggia ad alta velocità, per fuggire dalle nostre paure, dalle nostre inquietudini (“Counting 5-4-3-2-1”). Le chitarre, a tratti dolci e dilatate, a tratti nervose quanto la sofferta voce del frontman Geoff Rickly, sono il filo rosso che tiene assieme le undici tracce di questo lavoro, come sempre impreziosito da un tappeto sonoro all’altezza della situazione (ascoltare i loop di “At this velocity” per conferma). Ma il vero punto forte è indubbiamente rappresentato dai testi: le parole sono taglienti e cupe, ci raccontano la vera storia di una generazione quasi rassegnata al suo destino, che ha ben poco in cui credere (“fractured lives dissolving like sugar in the sacrament”), circondata dall’insicurezza fisica ed emotiva, sola ed inascoltata, seppur aggrappata ancora ad un sottile barlume di rivincita su un sistema corrotto e tirannico ( nella splendida “We will overcome” non mancano i riferimenti alla politica estera attuata dall’amministrazione Bush). L’unica pecca la si può individuare nell’uso massiccio di tastiere ed inserti elettronici , a volte ridondanti e sconsiderati, che fa perdere mordente e addolcisce le atmosfere più del dovuto. Detto questo, “A city by the light divided” è un disco curato e piacevole, forse meno diretto e digeribile di “War all the time” (la cui bontà compositiva resta inarrivabile), ma degno di essere ascoltato ed apprezzato in tutte le sue sfaccettature. Un disco con cui sollazzarsi nell’attesa di vederli finalmente suonare in Italia (agli inizi di settembre a Milano al “Rock in Hydro”…concerto imperdibile!), dedicato a tutti gli amanti dell’emo intimista e per nulla sdolcinato, ai “lovesong writers” senza speranze, o più semplicemente a chi vuole godersi quarantasei minuti di buona musica.
Website: www.thursday.net
Iscriviti a:
Post (Atom)