“It’s no surprise to me I am my own worst enemy…”(Lit)
Sono a casa, ma purtroppo non è casa mia. Le macerie stanno ancora occludendo la via a quel piccolo pancino di cemento che mi fa da incubatrice da ventidue anni circa, e non vedo l’ora di ritornare a riempire quella stanza di odori, musica, noia e rabbia. Dormo su un divano. Alloggio in un loculo che non è (e non sento) mio. Non sono in vacanza, ma è come se lo fossi, dato che non mi sto sbattendo a sufficienza riguardo i miei impegni, riguardo ai patti che feci con me stesso, ovviamente e come al solito mai mantenuti. Mi si taccia di infelicità, la mia genitrice in primis. Va bene, mi ha creato lei. Non per questo però deve aver la presunzione di conoscere ogni cosa della mia vita. Ma soprattutto…cosa cazzo ne sa lei della mia infelicità? E della mia felicità, ne vogliamo parlare? Milioni di cervelli per migliaia di anni hanno provato a darne spiegazioni, e ad un tratto, mater in fabula, arriva lei e mi concettualizza gli stati d’umore, teorizza il mio spleen e millanta antidoti per il veleno che da mesi mi infetta il corpo e l’anima. Non posso darle ragione, ma nemmeno darle torto. In fondo neppure io mi conosco così bene. Neanche il sottoscritto riesce a trovare uno straccio di spiegazione alla sua condizione. E mi stupirebbe alquanto il fatto che potessi riuscire a farlo un giorno. Torno con la mente nel lontano anno duemila, e vedo una discussione sulla felicità con il mio allora professore di filosofia aka Michele Diegoli. Quelle battute scambiate con appassionata vis verbale in orario extrascolastico mi si sono tatuate sui recettori neuronali, e le porterò orgogliosamente con me fino all’ultimo bip sull’ encefalogramma. Ricordo gli spunti buonisti di Seneca, ricordo gli aforismi da orgasmo pseudo-luterano di Russel. Ricordo quella gran frase di Albert Einstein, ancora vivida nella mia mente (“Se vuoi una vita felice, devi dedicarla a un obiettivo, non a delle persone o a delle cose”). Ricordo il cinismo di Schopenhauer, che diceva tramite la bocca di Mike: “La sola felicità è quella di non nascere”. Il mio precettore era, da buon cristiano cultore della vita, di visione diametralmente opposta. Io invece mi trovavo più d’accordo con il buon Arthur. E lo sono ancora adesso. Perché in fondo la felicità terrena equivale a (troppo) pochi attimi della nostra esistenza. La felicità spirituale extraterrena forse è una beffa colossale (ma questo lo scopriremo solo chiudendo gli occhi per sempre). Perché in fondo “la felicità ti sfiora appena, e poi se ne va” aka Gianluca Grignani non è poi così stupido come sembra. La felicità di ognuno di noi si realizza e si consolida sulla infelicità di altre persone aka Turgenev batte Seneca cinque a zero. La mia felicità non potrà mai soprassedere la mia tremenda inettitudine aka Nicolò Cascinu batte Zeno Cosini cinque a zero (ma ai tempi supplementari). I molti “boh” e i troppi “non lo so” scandiscono le mie giornate come tanti sassolini che scendono vorticosamente lungo una clessidra di alabastro dannatamente piccola. Una bottiglia di Malvasia di discreta annata giace vuota accanto al mio laptop, in quanto stasera si è gentilmente offerta a divenire vittima sacrificale della mia avidità. Forse mi aiuterà ad allontanare la malsana voglia di vedere programmi o film inutili alla televisione. Forse mi servirà da lucchetto per chiudere le porte ai demoni che mi fanno visita durante la notte. Oggi uno stupido e impossibile messaggio sul MioSpazio mi ha reso felice per un decimo di secondo. Magari è proprio questo il segreto della felicità costante, essere totalmente ingenui e credere nell’impossibile, come da piccoli si crede alle favole. Il fatto è che sono cresciuto troppo velocemente. Il mio Babbo Natale è diventato un vecchiaccio annoiato. La mia principessa è stata divorata viva dal drago, ed io sono rimasto un rospo cinico e troppo spesso ignorato. Sembrerà banale, ma le uniche cose in cui credo ora sono le cozzaglie di sillabe, vocali e consonanti proposte dai miei piccoli eroi in carne ed ossa. E’ in loro che bramo la mia salvezza. E’ in loro che ritrovo la condizione mia e di molti altri. Ci trovo umanità, pregio che difficilmente si trova in giro ultimamente. Ad esempio, un canuto cantautore con la erre moscia ed il vizio dell’alcol può essere molto più affascinante di una Bella (ma) Addormentata nel Bosco, non trovate?
Gianni
Canzone Quasi D’AmoreNon starò più a cercare parole che non trovo
per dirti cose vecchie con il vestito nuovo,
per raccontarti il vuoto che, al solito, ho di dentro
e partorire il topo vivendo sui ricordi, giocando coi miei giorni, col tempo...
O forse vuoi che dica che ho i capelli più corti
o che per le mie navi son quasi chiusi i porti;
io parlo sempre tanto, ma non ho ancora fedi,
non voglio menar vanto di me o della mia vita costretta come dita dei piedi...
Queste cose le sai perchè siam tutti uguali
e moriamo ogni giorno dei medesimi mali,
perchè siam tutti soli ed è nostro destino
tentare goffi voli d' azione o di parola,
volando come vola il tacchino...
Non posso farci niente e tu puoi fare meno,
sono vecchio d' orgoglio, mi commuove il tuo seno
e di questa parola io quasi mi vergogno,
ma c'è una vita sola, non ne sprechiamo niente in tributi alla gente o al sogno...
Le sere sono uguali, ma ogni sera è diversa
e quasi non ti accorgi dell' energia dispersa
a ricercare i visi che ti han dimenticato
vestendo abiti lisi, buoni ad ogni evenienza, inseguendo la scienza o il peccato...
Tutto questo lo sai e sai dove comincia
la grazia o il tedio a morte del vivere in provincia
perchè siam tutti uguali, siamo cattivi e buoni
e abbiam gli stessi mali, siamo vigliacchi e fieri,
saggi, falsi, sinceri... coglioni!
Ma dove te ne andrai? Ma dove sei già andata?
Ti dono, se vorrai, questa noia già usata:
tienila in mia memoria, ma non è un capitale,
ti accorgerai da sola, nemmeno dopo tanto, che la noia di un altro non vale...
D' altra parte, lo vedi, scrivo ancora canzoni
e pago la mia casa, pago le mie illusioni,
fingo d' aver capito che vivere è incontrarsi,
aver sonno, appetito, far dei figli, mangiare,
bere, leggere, amare... grattarsi!
(Francesco Guccini)