giovedì, dicembre 13, 2007

Potere alla Parola (rubrica a cura del vostro Gianni)

“Restano i sogni senza tempo, le impressioni di un momento,
le luci nel buio, di case intraviste da un treno.
Siamo qualcosa che non resta, frasi vuote nella testa, e il cuore di simboli pieno.”

(Francesco Guccini)


Sono le 12:45 quando le gambe indolenzite del sottoscritto toccano il suolo della Caput Mundi. Ogni volta che ritorno in questa città eterna sento un piccolo brivido partire dai lombi e fare gradualmente free climbing lungo la cervicale. Perché qui ho vissuto i miei primi tre anni di vita. Perché anch’io sono stato un pò allattato dalla lupa. Perché i pochi ma profondi ricordi del mio incipit di adolescenza sono ambientati qui, e li custodisco tutti con cupida gelosia. Mentre cammino con Roberto, mentre consumo un pasto frugale, mentre mi accingo a prendere il taxi destinazione riunione in zona Eur, sono invaso da riflessioni e pensieri dubbiosi. La causa è una e una sola, ovvero la lettura cannibalesca dell’ultima fatica di Fabio Volo aka il guru inconsapevole delle mie sempiterne pare esistenziali. Venderei l’anima anche solo per un briciolo della sua freschezza narrativa, della sua capacità di parlarti come se conoscesse le giuste leve della tua emotività. Roma odora di primavera il dodici dicembre. E’ incredibile come uno sciopero aggressivo talvolta regali la dolcezza di strade libere dal traffico. E puoi ascoltare, se tendi l’orecchio agli antichi monumenti che ti sfrecciano davanti, il rumore maestoso di ciò che essi furono un tempo. Puoi osservare la pesante eredità di una gloriosa civiltà, se rivolgi gli occhi agli sguardi dei passanti, al loro rapido camminare che solca grandi piazze e costeggia lunghe file di cipressi. La riunione ha il sapore di cordialità ed il profumo di caffè. Breve ma molto intensa. Professionalmente appassionata. Oggi il tempo pare avere un’apertura alare di sei metri e vola veloce come il taxi che, noncurante della scarsità di carburante, mi rifionda dritto alla stazione Termini. L’aipod mi ubriaca con la voce di Tom Waits, mi prende per mano e mi guida dalla metropolitana verso piazza Bologna. In mezzo alla gente, ci sono solo il vento e Arianna che mi attendono. Seduti davanti a un piccolo bar, mentre inietto l’ennesima dose di caffeina al cervelletto, Arianna mi parla della sua vita universitaria e non. E’ una ragazza molto bella e seducente, e credo sia in gran parte consapevole del fascino magnetico che esercita sugli uomini. Mi confida delle sue piccole ansie “accademiche”, e nelle sue perifrasi rivedo il Nicolò di un lustro addietro. Mi accenna alle sue “eresie” sentimentali, e in lei quasi vedo il Nicolò di adesso. Mi racconta dei suoi studi di filosofia, mentre si arrotola una sigaretta e giochicchia con l’anello che decora il suo labbro inferiore. Si discute del Messico e si passeggia sottoterra. Bei ricordi spuntano nel cranio come i funghi a San Josè dopo l’acquazzone. Resta il tempo di un veloce saluto allo stridere delle ruote d’acciaio sui binari del metrò, ed eccomi salire nel buio su di un altro vagone, a sporcare d’inchiostro un cumulo di pagine bianche. Poco più di trenta minuti consumati con piacere. Lasso di tempo che mesi addietro ero solito maledire, ma che ora torno ad apprezzare. Mi fa se non altro capire che certe complicità si possono ancora coltivare, nonostante il destino sia un serial killer, che uccide sempre senza un movente. Nonostante le nostre diversità. Nonostante le distanze, la vita e le sue molteplici incombenze.
Gianni



Roma

Roma, ne l'aer tuo lancio l'anima altera volante:
accogli, o Roma, e avvolgi l'anima mia di luce.

Non curïoso a te de le cose piccole io vengo:
chi le farfalle cerca sotto l'arco di Tito?

Che importa a me se l'irto spettral vinattier di Stradella
mesce in Montecitorio celie allobroghe e ambagi?

e se il lungi operoso tessitor di Biella s'impiglia,
ragno attirante in vano, dentro le reti sue?

Cingimi, o Roma, d'azzurro, di sole m'illumina, o Roma:
raggia divino il sole pe' larghi azzurri tuoi.

Ei benedice al fosco Vaticano, al bel Quirinale,
al vecchio Capitolio santo fra le ruine;

e tu da i sette colli protendi, o Roma, le braccia
a l'amor che diffuso splende per l'aure chete.

Oh talamo grande, solitudini de la Campagna!
e tu Soratte grigio, testimone in eterno!

Monti d'Alba, cantate sorridenti l'epitalamio;
Tuscolo verde, canta; canta, irrigua Tivoli;

mentr'io da 'l Gianicolo ammiro l'imagin de l'urbe,
nave immensa lanciata vèr' l'impero del mondo.

O nave che attingi con la poppa l'alto infinito,
varca a' misterïosi liti l'anima mia.

Ne' crepuscoli a sera di gemmeo candore fulgenti
tranquillamente lunghi su la Flaminia via,

l'ora suprema calando con tacita ala mi sfiori
la fronte, e ignoto io passi ne la serena pace;

passi a i concilii de l'ombre, rivegga li spiriti magni
de i padri conversanti lungh'esso il fiume sacro.
(Giosuè Carducci)

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