lunedì, settembre 03, 2007

Potere alla Parola (rubrica a cura del vostro Gianni)

And I look so strong, when the weight of all the world don’t take its toll…
(Bayside)

Casa amara casa. Era da tanto che non scrutavo dall’alto, con fare voyeuristico, il brulicare di esseri antropomorfi che pestano freneticamente l’asfalto tra via Ravizza e via Sanzio. Fuchi e operaie nel chiassoso viavai delle loro piccole celle. La nostalgia di casa è stata frenata da tutti quegli odori, i passi prestabiliti, tutti quegli oggetti che sono di nuovo passati tra le mie bramose mani. Ritorno e mi trovo con due bagni nuovi, ma per il resto niente è cambiato. Ho un disperato bisogno di essere coccolato, pertanto riempio il calice vuoto dell’affezione con il mio amato felino. Camilla sa sempre prendermi per il verso giusto. In questi giorni passeggio per distrarmi, come non ho fatto mai. La città del male erutta tentazioni sotto forma di inutili spese di futili rivestimenti corporei, ed io mi faccio tentare senza opporre alcun tipo di resistenza manco fossi uno strafottente Oscar Wilde. Ho una certa svogliatezza, dettata da delle vacanze che non sono state tutte fatte come si deve. Avessi staccato il cervello per una ventina di lune in più forse mi sarei goduto appieno questi attimi di festa, invece che incollarmi ad una sedia provando a fare tutto, ma senza fare (praticamente) un beneamato cazzo. Al ritorno dalla penisola iberica ho affrontato giorni vuoti come il dentro di una conchiglia, che emette un rumore di mare nostalgico e contundente. Svariate notti ho pregato affinché quel fastidioso tsunami la smettesse di infrangersi sulle mie pareti occipitali. Svariate notti ho pregato invano, svegliandomi coperto di accidia e indolenza. Svariati giorni ho provato a raccogliere idee e volontà. Ho raccolto soltanto poche rime. Ho ingabbiato nell’inchiostro pezzi di sogni che volevano scapparmi dalla testa. Li ho fermati mentre mi sgusciavano tra le dita, ma questo poco ha a che vedere con la prosa accademica e mi toccherà ricominciare tutto da capo. La forza di staccarsi da questa Gotham City dalle guglie fredde e grigie mi porterà ad uno slancio virulento di volontà e rappresentazione, o almeno ci spero. Per ora mi accontento di chiudere le porte all’estate, e lo faccio, come di consueto, aiutato dalle note calde sputate da grappoli di woofer, vibrate nell’aria di feste (quasi) democratiche. Sia il grido rabbioso di tre ministri che non sono puliti (e che suonano per non lavorare mai), siano le escursioni “mars-voltiane” di quei bravi ragazzi genovesi che con coraggio da leoni rifiutano il passato, sia il manto di seta o cartavetro, di poesia, di bacini e rock ‘n roll con cui El Tofo sapientemente sa avvolgerti; siano questi lirici postmoderni il faro guida nel mio piccolo cinema onirico. Abbiano questi suoni e queste parole il compito di farmi affogare nella fantasia. Ad occhi sbarrati, in direzione del palco. Per un pugno di ore. Perché la vita non è cattiva, è cattivissima, ma non l’abbiamo inventata noi. Chi l’ha inventata ci ha però concesso una via di fuga, seppur effimera e inconsistente come il fumo di una sigaretta. Ci ha permesso di staccarci da terra con l’apparato cerebrale, ma anche di aggrapparci ben stretti ai ricordi. Ci ha dato la capacità di gridare parole e paure al cielo d’agosto, graffiato da miriadi di comete. Possiamo ascoltare lo scirocco che soffia forte, illuminato dai raggi lunari, e che aspetta l’alba come un ubriacone aspetta l’apertura dei primi bar. Possiamo autoinfliggerci una crudele damnatio memoriae per non aver giovato delle ruvide carezze della sabbia che scorreva inesorabile, erosa perché il tempo tutto erode, tutto leviga, tutto cambia. Possiamo godere della pioggia quando tutto ritorna come prima, o quasi. Quando queste piccole goccie di rugiada ti penetrano dritto nel cuore, provocano un lancinante dolore, e non sai nemmeno il perché. Oppure lo sai, ma lo vuoi occultare, nel brusio del temporale, ma non ci riesci, e le risposte fanno ancora più male…
Gianni


Il pleut doucement sur la ville


Il pleure dans mon coeur
Comme il pleut sur la ville,
Quelle est cette langueur
Qui pénètre mon coeur?

O bruit doux de la pluie
Par terre et sur les toits!
Pour un coeur qui s'ennuie
O le chant de la pluie!

Il pleure sans raison
Dans ce coeur qui s'écoeure.
Quoi! nulle trahison?
Ce deuil est sans raison.

C'est bien la pire peine
De ne savoir pourquoi,
Sans amour et sans haine,
Mon coeur a tant de peine!
(Arthur Rimbaud)

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